27 Luglio 2024
Words

Dalla parte delle donne

Nel testo aureo, edito da Einaudi nel 1995, dal titolo Eguaglianza e libertà, Norberto Bobbio scriveva: «Nonostante quel che è stato detto infinite volte circa la varietà e la molteplicità dei significati di “libertà”(…) i significati rilevanti nel linguaggio politico (…) sono soprattutto due (…) I due significati rilevanti si riferiscono a quelle due forme di libertà che si sogliono chiamare con sempre maggiore frequenza “negativa” e “positiva”. Per “libertà negativa” s’intende (…) la situazione di un soggetto che ha la possibilità di agire senza essere impedito, o di non agire senza essere costretto, da altri soggetti (…) Per “libertà positiva” s’intende, nel linguaggio politico la situazione in cui un soggetto ha la possibilità di orientare il proprio volere verso uno scopo, di prendere delle decisioni senza essere determinato dal volere altrui».

L’Assemblea Generale delle Nazioni Unite – il 10 dicembre del 1948 – ha approvato la Dichiarazione Universale dei Diritti umani. All’Articolo 3 si può leggere: «Ogni individuo ha diritto alla vita, alla libertà ed alla sicurezza della propria persona».

Il 24 giugno del 2022 rischia invece di passare, per gli Stati Uniti d’America, come una giornata nella quale, in qualsiasi modo si voglia intendere la sentenza della Corte Suprema (che ha annullato la precedente sentenza «Roe versus Wade» del 1973) relativa all’interruzione della gravidanza, si è attentato ad alcuni fondamentali diritti di libertà. E, nel senso di Bobbio – che segue il saggio di Isaiah Berlin del 1958 (Due concetti di libertà in Isaiah Berlin, Quattro saggi sulla libertà, Feltrinelli 1989) un preciso attentato alla “libertà negativa”.

Sulle orme di Immanuel Kant (che nella Critica della ragion pratica, 1788; oggi reperibile nell’edizione, curata da Pietro Chiodi per UTET nel 2006, col titolo Critica della ragion pratica e altri scritti morali, aveva affermato che anche nel massimo della costrizione fisica l’uomo è libero a livello morale), Berlin aveva dunque postulato la “libertà da” (negativa) e la “libertà di” (positiva).

Gli uomini e le donne che hanno deciso di limitare il diritto federale all’aborto, hanno dunque deciso di impedire la piena esplicazione della “libertà da” – in questo caso dovuta a un impedimento legislativo – a centinaia di migliaia di donne americane costrette (un altro “attentato” alla “libertà da”) in uno stato di indigenza e povertà. Insomma, dal 24 giugno del 2022 le donne americane hanno meno diritti, mentre la Dichiarazione Universale dei Diritti Umani assegnava agli uomini e alle donne il sacrosanto diritto alla libertà.

A questo punto si innesta tutta una discussione – questa sì completamente americana – sul peso politico del Partito Repubblicano e quindi conservatore, sulle decisioni che hanno visto due diversi presidenti repubblicani nominare come membri della Corte Suprema dei giudici certamente “non di larghe vedute”, ma anche sul peso rilevante della Chiesa Evangelica e più in generale sui movimenti retrogradi (populisti e demagogici) che da alcuni anni stanno attraversando il Pianeta. Dobbiamo partire dal presupposto che il proprio corpo (la sua fine e il suo inizio, ad esempio) è completamente soggetto alla volontà di un essere razionale e che la decisione della Corte Suprema americana pur appartenendo alla giurisprudenza ha inevitabilmente delle ricadute politiche (l’«uso politico dei corpi» ci conduce al testo di Michel Foucault, Nascita della biopolitica. Corso al Collegé de France (1978-1979), Feltrinelli 2015) che investono il tema dei rapporti tra politica e vita, psiche e natura, corpo e mente.

Dalla parte delle donne non si può negare il fatto che in almeno venti stati americani adesso le donne non posseggono più la possibilità di scelta (interrompere o meno una gravidanza) garantita e postulata espressamente come diritto di libertà (“libertà da”). Anzi la possibilità di scelta attiene, di per se stessa, a entrambe le forme di «libertà» (“da” e “di”).

In qualche maniera – a livello di definizione: la libertà è sempre una possibilità. Dunque, dalla parte delle donne non abbiamo più a che fare con questa possibilità (che, se poi non si volesse abortire, è la stessa libertà a garantire la cosa e non la politica, meno che mai la religione, ancor meno quella forma di governo che si instaurò per tutto il Medioevo: la “teocrazia”, assai simile al populismo mediatico e cybermediatico: basta sostituire Dio con la Rete o con i mass media) e perciò – venendo meno una possibilità – siamo tutti più poveri, abbiamo meno speranze di poter esplicare la nostra personalità.

Nel mondo della globalizzazione ci siamo ristretti, mentre tutto si allarga.

Una volta acclarato che si è leso un diritto di libertà occorre riflettere sui confini della nostra relazione con i nostri corpi, sul nostro essere degli «organismi», sul rapporto fra il corpo e l’ambiente circostante. Aver privato le donne americane di un “diritto di libertà” vuole dire aver stabilito una relazione del tutto negativa fra noi e il nostro corpo. Si è liberi nei confronti di esso solo fino a un certo punto.

Gianfranco Cordì

Gianfranco Cordì (Locri, 1970), ha scritto dodici libri. E' dottore di ricerca in filosofia politica e giornalista pubblicista. Dirige la collana di testi filosofici "Erremme" per la casa Editrice Disoblio Edizioni. Dirige le tavole rotonde di filosofia del Centro Internazionale Scrittori della Calabria.