8 Dicembre 2024
Words

La strage di tutti

Il 12 Dicembre del 1969, con i miei compagni, eravamo nel mirino. Non lo sapevamo ma era così. Le vittime furono donne, uomini, giovani e vecchi, che si trovavano in Banca, la Banca Nazionale dell’Agricoltura in Piazza Fontana a Milano. Erano nel mirino le lotte operaie, il contratto dei metalmeccanici, gli studenti della Statale, gli occupanti di Palazzo Campana a Torino o della Sapienza a Pisa. Ma forse sbaglio. La strage s’abbatté sullo stato delle cose. Sulle lotte sociali, sul sogno di una democrazia moderna ed evoluta, ma non nacque in quel tempo. Era negli appunti di chi si era nascosto negli armadi degli affari riservati dello Stato. Il libro storico di Enrico Deraglio, “La Bomba” (Feltrinelli), lo dice bene, sembra un romanzo ed è reale.

Però vorrei consigliarvi di leggerne prima un altro. Più piccolo, più leggero, è un romanzo, sembra un libro di storia. Leggete prima “La zia Irene e l’anarchico Tresca” (Sellerio). Si perché la bomba nasce in una trama che ha negli Uffici degli Affari Riservati sicuramente la mano (ormai lo dicono tutti) ma anche la testa che ordina e organizza, a 24 anni dalla Liberazione, la restaurazione. O meglio intendono farlo, lo fanno e poi le cose vanno come vanno.  Gli affari riservati raccolgono la schiuma degli apparati di stato fascisti subito sottratti e protetti dalla Liberazione. Ferri vecchi, ma di cui ci si poteva fidare. I pavidi, i corrotti, gli spregiudicati e i farabutti sono tanti e in combutta. Attentati, infiltrati, spie e provocatori, in marcia costruiscono un tessuto che produce le trame, che indica colpevoli. Nel caso gli anarchici. Il capro espiatorio, il pretesto, il motivo. Il titolo. Materia per i columnist, per i giudizi sommari. Lo scoppio improvviso, la strage e la voce: lo abbiamo preso, il mostro è Valpreda. Da Roma a Milano e poi in taxi fino alla Banca. Pinelli fermato, trattenuto, stropicciato per tre giorni e poi precipitato dalla finestra del quarto piano della questura di Milano.

Signor Questore Pinelli si è buttato.  Sono trascorsi tre giorni dalla strage. “Ha sentito il peso delle sue responsabilità, si è visto battuto dalla legge.” Il Questore Marcello Guida si espresse così. La legge: uomini mai rivelati degli Affari Riservati venuti da Roma, erano la legge che si era impadronita della stanza del Commissario Calabresi. Che Calabresi ci fosse in quella stanza  ha l’odore forte di fumo di sigarette. Tanto fumo, una nube.

– Più tardi, quella notte, morto Pinelli, il questore Marcello Guida riceve i giornalisti. C’era Camilla Cederna. “La signora Cederna? Sono contento di conoscerla, la leggo sempre, anzi le dirò che sono un suo ammiratore. Vuol fumare? Le dà fastidio il fumo? Vuole che apriamo la finestra? Per carita, allora fumiamo noi” – La notte che Pinelli, di Adriano Sofri (Sellerio).

Valitutti, l’anarchico fermato e trattenuto con Giuseppe Pinelli, lo disse, lo dice, non perde occasione per ricordare quel che sa di sapere per esperienza diretta. Era lì, su quel corridoio, guardava, aspettava Giuseppe. Pinelli non tornò: Valitutti non vide passare Calabresi né altri. A un certo punto, nella notte tra il 15 e il 16 dicembre, da quella stanza piena di fumo e di Agenti venuti da Roma, guidati da Silvano Rossomanno – soldato della Luftwaffe, incarcerato a Coltano per collaborazionismo, ora impegnato nella struttura di Federico Umberto D’Amato, Divisione Affari Riservati – Giuseppe Pinelli vien giù. Un tonfo e nessuno che accorra.

Oggi i morti della strage sono 18. Finalmente ai 17 uomini si è aggiunto Giuseppe Pinelli: fermato, trattenuto, accusato, smascherato e precipitato. Era innocente. Era innocente anche Valpreda, erano innocenti gli anarchici.

Oggi la pietra d’inciampo posta a Milano dice che la bomba e che i morti furono opera di Ordine Nuovo la formazione Nazifascista  i cui esponenti di spicco erano Giovanni Ventura e Franco Freda. Ventura è morto libero a Buenos Aires, Franco Freda apprezza il lavoro in difesa della razza bianca di Matteo Salvini.

In genere il 12 dicembre si rode. Sono cinquanta anni che si rode. Ma non mi pare di ricordare una celebrazione di tal fatta, come quella andata in onda proprio la sera del 12/12 a reti unificate. Una fanfara. E’ bene che se ne ricordi lo scempio, che si mostri la vergogna, che si rivolga l’indice verso noi stessi della Repubblica Italiana.
Bruno Vespa è innocente, lo dicevano tutti. E’ giusto che si dica che sappiamo tutto, ma non possiamo niente. Piomba. Non si tratta più di memoria, si tratta di una fiera dei buoni sentimenti. Mattarella, le vedove, le pietre d’inciampo, i colpevoli morti son morti e Freda sta in fondo al quadro di Baj, battendo le mani a Salvini. La fiction quindi dice quel che può dire, quello che gli atti giudiziari le dicono di dire. La lunga storia dei procedimenti giudiziari per far perdere le tracce e spegnere il sentimento. Noi ci dovremmo rassegnare a un Paese che mentre fa la spesa per i suoi cari, lascia fuggire o morire nell’agio i colpevoli e si accontenta di averla fatta pagare a un innocente: Adriano Sofri. E non provate a dirmi che questa è un’altra storia.

Oggi si ricorda e non ci si fa a ricordare il dolore, le sofferenze inflitte e la paura. 50 anni fa molti tra quelli che parlano approssimando un pò le circostanze e le emozioni, erano piccoli. Altri erano giovani. La verità storica si dice è stata ricostruita, quella giudiziaria è come quel cavalcavia a Siculiana, abbandonato, sospeso e tronco. Non va da nessuna parte. Nessuno che ne possa farne un uso qualsiasi. Non va bene nemmeno per posarci una rosa. Lo si guarda distratti da sotto e ci si chiede: ma chissà perché sta lì. Forse per ricordarci che una volta qualcuno provò davvero a rovesciare il corso democratico della storia. Non ci riuscirono. La morte di Giuseppe Pinelli ha risalito il corso delle cose come quella di Stefano Cucchi. Il loro martirio ha dato coraggio, ha imposto il richiamo, ha aperto la via della dignità. Forse. Ma sì, ci diciamo in tanti. E ognuno con tante ragioni.